Una nuova umanità

Marta Bertolaso, professoressa di filosofia della scienza e sviluppo umano presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma | Impresa&Imprese 1/2021

Non è il cambiamento che ci spiazza, ma la sensazione che qualcosa con il cambiamento ci sfugga e sia poco consapevole.

Marta Bertolaso, professoressa di filosofia della scienza e sviluppo umano presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma

La pervasività della tecnologia in ambito personale e professionale cambia non solo stili di vita e modi di lavorare, ma anche i processi cognitivi, riorganizzando la percezione del mondo e le relazioni interpersonali, formali ed informali. Ancora una volta, come nel Rinascimento, la sfida sarà porre l’uomo e il bene comune al centro degli interessi e degli obiettivi di imprese e società: solo così potremo superare quel senso di inquietudine che ogni cambiamento con la sua carica di ignoto inevitabilmente porta con sé. Secondo Marta Bertolaso, Professoressa di Filosofia della Scienza e Sviluppo Umano presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma, se Rinascimento Digitale deve essere, che sia a partire dal Noi.

“Viviamo in un periodo di inquietudine, in un mondo in crisi e di crisi dove ciò che sembra funzionare meglio, ossia la tecnologia, a volte sembra alimentarsi proprio delle crisi. Negli ultimi mesi, per esempio, la digitalizzazione ci ha permesso di risolvere parecchi problemi di carattere organizzativo, di lavoro e didattico. Nonostante ciò, continuiamo ad avvertire la percezione che qualcosa che prima ci apparteneva stia scomparendo e non sia più recuperabile. I problemi della società contemporanea sono dunque legati alle paure che tali crisi generano. La domanda da porsi in questi momenti è: come siamo arrivati a questo punto?

Il primo punto da indagare è il collasso delle dinamiche globali su quelle locali. Se prima virus e macchine si trovavano solo sui libri di storia, oggi sono entrati nella nostra vita rivoluzionandone lo stile. Allo stesso modo non possiamo ignorare elementi come lo sviluppo sostenibile e i nuovi processi di implementazione della nuova economia. Lo smart working ne è un chiaro esempio. Secondo uno studio del Politecnico, in quattro mesi abbiamo prodotto dati che erano stati previsti nell’arco di quattrocento anni. Ciò significa che è necessario rivedere i sistemi di sicurezza che tutelano i nostri spazi e che dobbiamo imparare a gestirli in uno scenario totalmente nuovo. La revisione di processi abitudinari genera ansia, perché siamo costretti a confrontarci con qualcosa di nuovo che non avevamo mai sperimentato. Altrettanto importante è considerare il desiderio di autonomia, che in questo momento è delegato alle macchine. Un dato di fatto che ci facilita molte cose, ma crea anche molti interrogativi. Dalle interazioni con Alexa al mattino fino a quelle con i social alla sera, passando per l’App che ci dice cosa mangiare o quando andare a dormire, stiamo generando una mole di dati immensa, circa 10.000 gigabyte, con tempi di raddoppiamento normalmente riferibili ad un anno, oggi destinati a scendere a 12 ore in pochi mesi. Questi numeri indicano che viviamo in una dimensione di intelligenza collettiva che non esclude nessuno e con cui dobbiamo per forza fare i conti.

A ben vedere dunque non è il cambiamento che ci spiazza, ma la sensazione che qualcosa con il cambiamento ci sfugga e sia poco consapevole.

La domanda, quindi, diventa: quale forma ha la paura oggi? Direi che la potremmo sintetizzare con i termini di solitudine e isolamento. La solitudine è, per esempio quella del CEO che non sa chi consultare o a chi chiedere un consiglio. Si tratta di una solitudine reale e condivisa, che ha parte della sua ragion d’essere nella dematerializzazione delle relazioni. Sulla base di queste premesse è quindi evidente che ci sia bisogno di realizzare un nuovo modo di fare impresa e un nuovo modello di leadership “vitale” e trasformativa. Oggi, la soluzione che dobbiamo mettere in atto per formare le nuove generazioni, sta nella radicalizzazione della crisi e nella capacità di trasformare le difficoltà in scelte e in giudizio.

La prima risposta è ripartire dal Noi. Una cosa che abbiamo perso nei modelli organizzativi dell’azienda. I nostri model- li di gestione si basano sul fatto che la persona in un ambiente di lavoro tende a cercare il proprio tornaconto. Siamo in un momento in cui è invece necessario scommettere su altre qualità dell’essere umano, ossia la capacità di individuare il bene comune e di costruirlo assieme. Se in passato, le crisi le abbiamo superate lasciandoci alle spalle qualcosa, oggi la sfida è vivere radicalmente la situazione in cui siamo con scelta e giudizio: sono queste le capacità che dobbiamo mettere in gioco.

L’uomo deve diventare consapevole di saper fare qualcosa che le macchine non sanno fare: usare le interruzioni. Quelle che sembrano pause che le macchine percepirebbero come una mancanza di dato, l’uomo è capace di farle diventare un orizzonte di senso. È lì dove si può costruire qualcosa di nuovo. Ciò significa uscire dal paradigma del confronto con le macchine in termini funzionali. Il problema è che ci siamo sempre confrontati con le macchine sulle nostre performance che siamo forzati a superare: impossibile vincere!

Prendiamo per esempio il contributo che le macchine possono darci nel gestire la risorsa più importante: il tempo. Il tempo proprio e il tempo altrui. Elias Canetti ne “La provincia dell’uomo” scrive “Tutto divenne più rapido perché ci fosse più tempo”. Invece, nel nostro mondo, sembra ci sia sempre meno tempo. Questa sensazione di mancanza di tempo o di non sapere come usarlo è una delle sfide più interessanti. Nella cultura classica i greci sapevano che il tempo ha una duplice accezione: il tempo che ci viene imposto e che scandisce il nostro passaggio su questa terra e il tempo come capacità di saper cogliere l’occasione. Fare cioè la cosa giusta al momento giusto. Non basta quindi avere tempo se non sappiamo cogliere il momento opportuno e questa capacità è propria solo dell’uomo e su di essa dobbiamo formare le future generazioni.

Le macchine potranno aiutarci nei lavori ripetitivi, di precisione o più pesanti, ma cogliere il momento giusto per fare la cosa giusta è un’abilità che non può appartenere alle macchine. Non esiste algoritmo per questo, ma solo cervello e cuore messi insieme in una sintesi istantanea.

Guarda il video relativo all’intervento di Marta Bertolaso, nel corso di “Rinascimento Digitale – Quale intelligenza per la ripresa?”, l’evento promosso dalla Filiera Servizi Professionali di Confindustria Emilia, in collaborazione con altre 15 territoriali del Sistema, che si è tenuto il 6 ottobre 2021 in Accademia Militare a Modena.
Bologna|Milano|Padova|Miami|New York|Orlando|New Delhi|Bangalore|Pune|Ho Chi Minh|Hanoi|Seoul